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Il Sars-Cov-2, con le sue innumerevoli varianti, è facile che diventi (o è già diventato) un virus endemico, come è il caso dei virus influenzali. Ed è chiaro ormai che la patologia del Covid-19 è scarsamente immunizzante, quindi anche l’utilizzo dei vaccini sperimentali attualmente in commercio potrà migliorare solo parzialmente la riposta immunitaria delle persone. Di certo non permetterà di evitare le nuove infezioni.
Ne consegue che il modo migliore di proteggerci è quello di coltivare uno stato di salute ottimale. Questo significa, tra le altre cose, un’alimentazione sana e vitale, molto movimento, bagni di sole (vitamina D), pratiche che favoriscono le risposte adattative dell’organismo (eustress) e igiene mentale.
Indubbiamente, il Sars-Cov-2 ha messo in evidenza la vulnerabilità di una popolazione fortemente medicalizzata, il cui stile di vita è diventato sempre meno salubre, causa anche il degrado ambientale. I casi gravi di Covid-19, infatti, sono quasi sempre associati a situazioni di comorbidità preesistenti. In tal senso, il novello coronavirus è solo uno dei tanti campanelli di allarme che ci obbligano a portare attenzione al degrado del nostro stato di salute e dell’ecosistema planetario.
Parlando di misure messe in atto per combattere la pandemia, se queste comportano una seria limitazione della libertà personale, dovrebbero sempre fondarsi su un’efficacia chiaramente evidenziata scientificamente, e dovrebbero sempre portare con sé una data di scadenza. Purtroppo, misure come l’obbligo della mascherina all’aperto, il confinamento quando l’epidemia è già in fase avanzata, il coprifuoco, le chiusure senza logica di negozi e ristoranti, ecc., non sono supportate da sufficienti evidenze circa la loro efficacia. Sotto gli occhi di tutti è invece l’incapacità di molti governi di attuare quelle misure strutturali realmente necessarie, come la riduzione dell’affollamento nei trasposti in comune e il rafforzamento delle strutture sanitarie.
Parlando di morti, bisognerebbe sempre operare dei distinguo. Il valore intrinseco della vita umana prescinde dall’età degli individui, ma non tutte le morti possono essere ritenute equivalenti ai fini dell’analisi dell’andamento di un’epidemia e della valutazione della portata di una crisi sanitaria. La morte di una persona giovane e in piena salute non può essere ritenuta equivalente a quella di una persona con un’aspettativa di vita di pochi mesi. Inoltre, non è stata operata una distinzione sufficientemente rigorosa tra le persone che muoiono con o a causa del Sars-Cov-2, ad esempio per una carenza di autopsie condotte sui pazienti deceduti con sospetto di Covid-19.
Ne consegue che chi muore con un risultato positivo del test viene spesso conteggiato come persona morta per Covid-19, quando le cause effettive della morte potrebbero essere altre (confusione tra correlazione e causazione).
Parlando di capacità predittiva dei test, c’è stata e c’è a tutt’oggi grande confusione tra “precisione di un test diagnostico” e “capacità predittiva di un test diagnostico”. Questa confusione è dovuta soprattutto alla nostra difficoltà di ragionare in modo corretto con le probabilità. La probabilità che una persona sia infetta quando un test è positivo dipende anche da quanti infetti sono presenti nella popolazione. Anche quando molto sensibile e specifico, il potere predittivo di un test sarà minimo se la percentuale di persone infette nella popolazione è insufficiente.
Inoltre, i famosi testi PCR fanno spesso uso di un numero troppo elevato di cicli di amplificazione, con la conseguenza che pur essendo molto sensibili diventano poi troppo poco specifici, con conseguente riduzione del loro potere predittivo.
Invece di riconoscere le forti limitazioni dei test pcr utilizzati, e la mancanza di un “gold standard” con cui confrontarli, questi vengono regolarmente conteggiati come prova definitiva che l'individuo testato è infetto da Sars-Cov-2.
Parlando dei “casi”, se da un lato esiste la pandemia reale, dall’altro c’è la pandemia raccontata, quella della narrazione dominante, che non necessariamente esiste nella forma in cui viene descritta. Nessun canale d’informazione mainstream ha purtroppo l’accortezza (e la decenza) di parlare, anziché del numero di “casi”, o di “nuovi casi”, della “percentuale di persone risultate positive ai test”.
I “casi” non significano nulla, se il loro numero non viene rapportato al numero di test effettuati. Ma la situazione è ancora più complessa di così, perché molti test producono fino al 40% di falsi positivi, quindi l’intervallo di incertezza andrebbe anch’esso comunicato. Andrebbe inoltre spiegato che non c’è mai stato uno standard per i test, quindi non è possibile paragonare i “casi” di un paese con i “casi” di un altro paese, o addirittura i casi di diverse regioni all’interno di uno stesso paese.
La “percentuale di positivi” dipende anche dal campione di persone che si prende in considerazione. Ad esempio, sarà molto più alta in un campione sintomatico che in un campione asintomatico. Pertanto, la “percentuale di positivi” andrebbe sempre normalizzata, considerando una media su diverse tipologie di persone, alfine di ottenere un dato che sia realmente rappresentativo dell’intera popolazione. Questo purtroppo viene raramente fatto.
Parlando di cure mediche, quando si è positivi e sintomatici, è importante sorvegliare l’andamento della malattia. In particolare, è necessario dotarsi di un saturimetro per tenere sotto controllo l’ossigenazione del sangue, onde evitare il fenomeno dell’ipossia felice. Raramente i medici danno ai loro pazienti questo consiglio.
Le persone a rischio devono chiedere e ottenere cure e visite mediche adeguate e tempestive, a casa loro, per evitare il successivo ricovero in ospedale, rifiutando l’assurdo protocollo “della vigile attesa e paracetamolo”.
Per quanto riguarda le cure disponibili, si assiste a un tentativo ben poco celato di influenzare l’opinione pubblica e i governi alfine di orientare gli interventi terapeutici unicamente verso quelle molecole altamente remunerative per le grandi aziende farmaceutiche, a prescindere dalla loro reale efficacia o tossicità (vedi lo scandalo del remdesivir).
Parlando degli asintomatici, studi hanno ormai dimostrato che, contrariamente ai sintomatici, generalmente possiedono una bassa carica virali e una breve durata temporale di possibile diffusione virale. In altre parole, a parte possibili eccezioni, i casi positivi asintomatici sono scarsamente infettivi.
Parlando di vaccini, nessun vaccino, se efficace, può essere ritenuto sicuro. In altre parole, i vaccini, come tutti i farmaci, comportano effetti indesiderati che possono essere anche molto gravi. Il punto fondamentale è determinare quanto sono pericolosi e quanto sono efficaci. Solo in questo modo è possibile decidere in modo responsabile se assumere o meno un vaccino (e più generalmente un farmaco).
I vaccini attualmente in commercio non permettono di ottenere un’immunità stabile e pertanto vanno utilizzati unicamente da persone per le quali il rapporto beneficio/rischio è molto favorevole. Una stima realistica di tale rapporto non è al momento possibile, poiché tutti i vaccini per il Sars-Cov-2 sul mercato non hanno completato la fase finale di valutazione. Inoltre, i primi 14 giorni dopo la vaccinazione sono stati esclusi dalla più parte delle analisi, e l’osservata progressione dei contagi e delle morti in stretta corrispondenza con l'inizio delle campagne vaccinali esorta a molta prudenza.
A prescindere dal livello di fiducia che si ripone nei vaccini disponibili, i loro brevetti andrebbero sospesi e la relativa conoscenza tecnologica andrebbe condivisa liberamente e apertamente (i profitti non dovrebbero essere consentiti durante questa pandemia).
Parlando di misure altamente restrittive, quando è iniziata questa pandemia, non conoscendo ancora il livello di pericolo che essa rappresentava, a giusta ragione sono state adottate delle misure altamente restrittive, come i confinamenti e le chiusure complete delle attività commerciali. Questo per guadagnare tempo, organizzarsi ed evitare il collasso delle strutture ospedaliere. In altre parole, si è cercato di diluire nel tempo i contagi, considerati inevitabili, per gestire in modo efficace il flusso di persone bisognose di cure intense in ambito medicalizzato.
Se le misure altamente restrittive potevano giustificarsi nella fase iniziale dell’epidemia, una volta appurata la sua scarsa mortalità del virus, e una volta che la sua diffusione è avvenuta su una percentuale rilevante della popolazione, queste andavano subito rimpiazzate con misure poco restrittive.
Considerando gli effetti nefasti delle misure altamente restrittive (aumento delle malattie non-Covid-19 dovute ai mancati interventi sanitari, aumento delle malattie mentali, dei suicidi, delle overdosi da oppioidi, impoverimento delle frange più povere della popolazione, distruzione di piccole e medie imprese a favore della crescita delle grandi corporazioni, ecc.), il loro mantenimento dopo la fase iniziale della pandemia è unicamente da attribuire all’incapacità di governi e forze politiche nel gestire questa pandemia con intelligenza, lucidità, pragmatismo, senso delle proporzioni e coraggio morale. E se da un lato il terrore offusca le menti di cittadini e governanti, dall’altro le grosse corporazioni cavalcano l’onda dell’attuale isteria a loro pieno vantaggio.
Parlando di confinamento, mettere la popolazione agli arresti domiciliari permette di abbattere i contagi solo se il numero di persone contagiose tra la popolazione è esiguo. Quando il numero di persone contagiose è relativamente alto, confinare diventa solo un modo per promuovere la diffusione del virus, in quanto le persone contagiose vengono confinate a lungo con altre persone, che vedranno aumentare la probabilità di contagiarsi a loro volta (soprattutto nelle fasce più povere della popolazione). È anche per questo che le influenze crescono nei mesi freddi, quando si sta tutti più a lungo in ambienti chiusi.
Parlando di mascherine, queste andrebbero usata solo quando strettamente necessario. La mascherina non è di nessuna utilità all’esterno (non ci sono dati scientifici a riguardo) e nei locali chiusi è utile solo se usata secondo protocolli sufficientemente rigorosi, che raramente sono quelli che le persone solitamente adottano. Se pensate di trovarvi in una situazione a rischio, date priorità al distanziamento, non alla mascherina.
Nessuno governo si è mai preoccupato di omologare le mascherine in uso. Un semplice foulard viene equiparato a una mascherina ffp2, a riprova che quella delle mascherine obbligatorie è una mera misura di facciata, utilizzata come “segnale sociale di valenza psicologica”.
La pelle del viso è per molte persone, soprattutto d’inverno, l’unica superficie dell’epidermide esposta al sole, in grado di produrre vitamina D, che si è dimostrata estremamente efficace nel ridurre il rischio di mortalità da Covid-19. Una ragione in più per sconsigliare l’utilizzo della mascherina all’aperto.
Parlando di abbracci, gli esseri umani sono dotati di percorsi cerebrali dedicati alla rilevazione del tocco affettuoso, a dimostrazione dell’importanza del contatto reciproco e in particolare degli abbracci. Esistono simulazioni che indicano che il rischio di rimanere contagiati tramite un abbraccio è estremamente basso, se non inesistente. Non esistono invece simulazioni in grado di valutare il rischio di non più abbracciare nessuno per anni.
Parlando di raccomandazioni, quella di arieggiare i locali dove si soggiorna a lungo, era già valida prima dell’avvento del Covid-19, per eliminare l’aria viziata e permettere una buona ossigenazione. Pertanto, è utile conservare e promuovere questa abitudine. Per quanto riguarda la raccomandazione di lavare correttamente le mani con il sapone, trattasi anch’essa di una pratica di igiene personale la cui importanza era già nota prima dell’avvento del Covid-19. Pertanto, è utile promuovere anche questa abitudine, senza però esagerare, per non rovinare lo strato protettivo naturale dell’epidermide delle mani (ad esempio tramite l’uso ed abuso dei disinfettanti).
Parlando di distanziamento, nelle analisi della diffusione del precedente Sars-CoV?-1, è stata messa in evidenza la capacità del virus di diffondersi per vie aeree, grazie al vento, anche su distanze di più di 200 metri. Questo porta a relativizzare l’efficacia delle misure di distanziamento e ad accettare, volenti o nolenti, che ci sono aspetti in un’epidemia che noi umani non possiamo controllare. Tenersi a un paio di metri di distanza è sicuramente utile in determinate situazioni al chiuso, ma nessuna forma di distanziamento, o di mascheramento, potrà mai proteggerci da ogni possibile contagio. Possiamo invece promuovere con efficacia il rafforzamento del nostro sistema immunitario e migliorare il nostro livello di salute generale.
Parlando dell’origine del virus, gli sforzi investigativi internazionali per determinarne la provenienza sono stati ad oggi del tutto insufficienti. È fondamentale comprendere quello che è andato storto, se si vuole evitare un disastro ancora peggiore in futuro, quando situazioni simili si ripresenteranno.
L’ipotesi che il virus sia partito dal “wet market” di Wuhan è stata superata da tempo e non ci sono ancora evidenze concrete che il virus sia saltato dagli animali all’uomo. L’ipotesi che il virus sia sfuggito dal laboratorio di massima sicurezza che si trova a Wuhan è da considerarsi seria e non di natura cospiratoria. Il fatto che la pandemia sia partita da una città dove si trova un bio-laboratorio di massima sicurezza, che stava lavorando sulla manipolazione genetica dei coronavirus, è una coincidenza che non è possibile ignorare. Il fatto che le autorità cinesi abbiano poi imposto un veto nei confronti di qualsivoglia indagine che ipotizzi una fuga del virus dal suddetto laboratorio, costituisce un forte indizio a favore dell’ipotesi della fuga.
Parlando di passaporti sanitari, i vaccini disponibili essendo di natura sperimentale, non dovrebbero mai essere resi obbligatori (nessun vaccino dovrebbe mai esserlo). Nessuna discriminazione dovrebbe pertanto esistere per chi decide di non vaccinarsi. D’altra parte, numerosi stati stanno lavorando per rilasciare, conservare e controllare appositi “patentini di immunità” in relazione al Covid-19. L’idea stessa di tali attestati si basa però su presupposti inammissibili, sia dal punto di vista scientifico che normativo, costituzionale ed etico.
Parlando di comunicazione nei confronti della popolazione, è del tutto evidente il tentativo di infantilizzazione dei cittadini, spesso trattati come bambini in una nursery, anziché come adulti in grado di assumersi delle responsabilità. Eppure, ragionando sul lungo termine, l’unica soluzione praticabile è quella di conferire fiducia e autonomia alle persone (o allora rimpiazzare le attuali democrazie con dei governi totalitari).
Per concludere, quando osservo il lungo dispiegarsi di questa pandemia e delle misure inadeguate con cui è stata fino ad oggi “gestita”, non posso non pensare alle “ultrasoluzioni” teorizzate da Paul Watzlawick, cioè a quei tentativi di risolvere un problema che col tempo diventano parte del problema stesso, finendo col creare l’esatto opposto di ciò che volevano ottenere, secondo il famoso detto “operazione riuscita, paziente morto”. Il paziente in questione è la nostra società umana, cui attendono nei prossimi decenni crisi ben più drammatiche dell’attuale, come quella della sesta estinzione di massa attualmente in corso.
Parafrasando Yuval Harari, gli storici del futuro vedranno probabilmente il momento attuale come un punto di svolta nella storia del ventunesimo secolo. In che direzione svolteremo, cosa alla fine succederà, molto dipenderà dalle decisioni che prenderemo in questi anni. Nessun scenario è fortunatamente inevitabile, e nessun scenario è sfortunatamente escludibile.
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